Ben Gurion ci da il benvenuto con i suoi corridoi ampi, lastricati di marmo e decorati con mosaici romani.
Tutta questa maestosità per finire, alla fine, incanalati nei temuti varchi dell’immigrazione, che del marmo hanno solo la sensazione al tatto: freddo.
Ed il mio bel visto Iraniano non fa che gelare ulteriormente l’animo del controllore, che con una mano si scusa e con l’altra mi accompagna in una saletta per interrogatori.
Sono tutti gentilissimi senza dubbio, intanto però mi chiudono dentro insieme ad un uomo che mi fa le domande, ed una donna che trascrive tutto al computer.
Come si chiama tuo padre, tuo nonno, dove sei nato, con chi sei venuto, dove lavori, di cosa ti occupi a lavoro, perchè sei stato in Iran, perchè tua moglie non è con te, perchè è la terza volta che visiti l’Israele, con chi l’hai visitato in precedenza, e così per buoni 15 minuti fino a che, evidentemente soddisfatti, non mi lasciano raggiungere Davis, Aida, Pamela e Marco che nell’attesa si stavano facendo un panino all’entrata dell’aeroporto.
E così finalmente raggiungiamo la Porta dei Leoni, proprio alla fine della preghiera del venerdì, circondati da un esodo di famiglie che si riversano sui vicoli della città diretti alle loro case, in quella che rimane una delle città più suggestive che io abbia mai visitato: Gerusalemme.
Gerusalemme di notte ci accoglie, immutata dalla prima volta che la visitai.
Silenziosa e dalle pietre vibranti dopo l’ultimo canto del muezzin.