CAPITOLO 4 – Il mio primo lavoro: la Guardia d’Onore
Natale in caserma: un mese che passa in fretta
Era Natale, e per l’occasione la Caserma Pepicelli di Benevento apriva le sue porte alle famiglie degli allievi Carabinieri. Un gesto simbolico, per mostrare che eravamo ancora figli, anche se già immersi fino al collo nella vita militare.
Il giorno della Vigilia di Natale, mentre gli ospiti pranzano con pollo al forno nella mensa, io sono in corvè cucina, a lavare piatti e scodelle. Un lavoro silenzioso, faticoso, mentre dalla sala arrivano le voci allegre dei commensali.
Mi chiedo se i miei genitori, lì fuori, si rendano conto del cambiamento che sta avvenendo in me. Io ancora non lo vedo. Mi sento fuori posto, come un pesce fuor d’acqua. Ma qualcosa sta per cambiare. Stanno per affidarmi il mio primo incarico ufficiale.
Il mio primo lavoro in caserma
La Caserma Pepicelli funziona come una città in miniatura. Per farla andare avanti servono cuochi, meccanici, segretari, lavapiatti, sentinelle. E tra queste figure, ci siamo noi: i giovani allievi. Ognuno riceve un compito da svolgere con responsabilità, assegnato in base alle capacità personali.
- Chi aveva già fatto il meccanico viene mandato in officina.
- Chi ha una laurea finisce in segreteria.
- Chi sa cucinare, alla mensa ufficiali.
E poi ci sono io. Che non sapevo fare nulla. O meglio, sapevo solo essere alto. È così che vengo assegnato alla Guardia d’Onore.
L’incontro con i peggiori elementi
Tra i ricordi più vivi, c’è quello di un ragazzo di Roma. Uno di quelli che oggi probabilmente è in carcere, ma che allora andava in giro con la carabina puntata sugli altri, come se fosse una pistola giocattolo.
La puntò anche contro di me. Ricordo solo di avergliela respinta in faccia, per istinto. Avrebbe potuto vendicarsi quella stessa notte. Ma non lo fece. Ero fortunato: nella mia camerata c’erano persone simili a me. Avevamo creato un piccolo fronte comune, una protezione contro le rappresaglie notturne, che purtroppo erano frequenti e spietate per molti altri allievi.
La guardia d’onore
I compiti della Guardia
Il ruolo di Guardia d’Onore prevedeva due mansioni principali:
- Presidiare l’uscita della caserma, immobili come statue, eseguendo alla perfezione il balletto del cambio della guardia.
- Portare il tricolore durante l’alzabandiera del mattino, seguendo una procedura rigida fatta di precisione, sincronismo e immagine.
Mi sembra di ricordare che fossimo tra le 25 e 30 guardie in tutto, forse 10 per compagnia, e qui faccio la prima reale conoscenza dei bulli ignoranti che infestavano la caserma, dei primi atti di nonnismo e di quanto fosse amara la vita per un ragazzo che non sapeva neanche fare a botte.
Vantaggi e piccole tregue
Eppure, fare la Guardia d’Onore non era solo fatica. C’erano anche vantaggi. Stavamo spesso all’esterno della caserma, a contatto con la gente di Benevento, che ci salutava con rispetto. Ed eri vicino alla mensa ufficiali dove ogni tanto gli addetti alla cucina ci passavano qualcosa da mangiare, cibo di cui avevi la certezza che non ci avessero sputato dentro, o peggio.
Il tempo cominciava a scorrere più veloce. Le giornate avevano un senso, e le amicizie cominciavano a prendere forma. Non ero più solo. Avevamo superato la metà del corso e già si parlava della nostra destinazione finale.
Conclusione: la trasformazione continua
Il servizio militare non si limitava a insegnare l’ordine e la disciplina. Ti metteva alla prova ogni giorno, anche nei gesti più semplici. E mentre ti trasformava, spesso non te ne accorgevi. Ma chi ti guardava da fuori, forse sì.
E così, senza nemmeno rendermene conto, stavo diventando qualcun altro.
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