200 e passa km di fuoristrada indietro fino al lago Manyara per continuare il nostro safari nella Tanzania orientale , in teoria quella delle grandi città e della civiltà, staremo a vedere!
James guida come un matto per macinare quanta più strada possibile, la jeep vibra come se fosse posseduta ed il metallo stride fino al punto di cedimento. Sempre che a cedere non siano prima i sottili finestrini che sono percossi da ogni buca e stonano come le nostre spine dorsali che non sanno più in che posizione stare!
Perché nessuno parla mai del mal di schiena da safari? Ecco, sappiate che se volete intraprendere un’avventura del genere è bene che vi portiate dietro quanto più voltaren possiate, oppure un busto, e qualcosa che vi tenga inchiodati ai sedili e vi faccia entrare in simbiosi con la macchina e la strada africana!
Tornando indietro rivedo tutti quei posti di cui nessuno parla mai nei racconti. Quei punti che il nostro cervello prende come riferimento naturale per orientarsi e ricordare qualora ce ne fosse bisogno.
Oltre la valle delle mosche mortali ecco apparire quel pezzo di strada dritto che stona in mezzo a chilometri di curve. Durante il viaggio d’andata era gremito di babbuini che lo percorrevano in fila indiana, ora invece mi accorgo che la terra passa dal rosso al giallo e gli alberi diventano più radi lasciando spazio a mandrie di Impala.
Qualche chilometro dopo arriviamo al canale di scolo in costruzione, qui la strada devia per un brevissimo tratto mentre operai lenti e polverosi ci osservano. Penso che in due giorni non abbiano poi fatto molti progressi, ma qui in mezzo chi li controlla! E mentre li guardo mi chiedo se gli ak47 che portano funzionino, e mi chiedo pure a che serva un mitra nella savana! Va bene difendersi ma crivellare di colpi un felino mi sembra esagerato!
Passiamo poi accanto al piccolo aeroporto inconfondibile in mezzo alle acacie fischianti (si chiamano così per il particolare suono che producono quando c’è vento), punto di arrivo per turisti ricchi, e di partenza, nella mia immaginazione, di corrieri della droga che esportano casse verso Zanzibar. L’avranno pensato anche altri, la pista è come quelle che si vedono nei migliori film girati in Bolivia o in Messico!
Poi rivedo quella roccia dalla forma quadrata, lo stagno nero degli ippopotami, l’albero gigante alla cui ombra ora c’è una iena, la buca infame che James non sa prendere ed il piccolo podio in legno, messo in mezzo ad una radura circolare, che è impossibile capire cosa ci faccia lì e chi ce l’abbia messo. Secondo me, ed è sempre la mia immaginazione a parlare, di notte lo stregone di qualche villaggio Masai celebra non so quale rito oscuro per evocare la Grande Razza di Yith*, mentre i suoi adepti ballano intorno indemoniati ed urlanti…ahhhhh, aarghhhh, ecco proprio come le urla e le imprecazioni che mi fanno ritornare alla realtà dopo l’ennesima buca presa a 100 all’ora dal nostro autista!
Vi chiederete perché io abbia messo una foto che rappresenta un gruppo di Masai. All’inizio volevo parlarvi di questo, ma poi l’esperienza è stata talmente deludente che ho deciso di cambiare argomento.
Il loro villaggio sarà ricordato solo come il punto di riferimento in cui ci ho rimesso 10$ e mi sono cosparso i vestiti di puzza di fumo!
*Grande Razza di Yith: creature appartenenti all’universo horror ideato da H.P. Lovecraft (tra le mie preferite)